IL MANIFESTO DI TREVISO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA
di Domenico Letizia
La gestione efficiente e sostenibile dei beni acquatici è stata al centro di un recente seminario dal titolo “L’orologio dell’acqua”, organizzato dall’Associazione Premio letterario Giuseppe Mazzotti in collaborazione con Cai, Fai e Touring club italiano.
Il seminario ha riunito a Treviso il 29 ottobre numerosi esperti per analizzare problemi, tensioni attuali e sfide future per la disponibilità di acque dolci e accesso sostenibile all’acqua. La cerimonia del conferimento dei premi di quest’anno, tesi a far emergere “gli attuali protagonisti, degni eredi spirituali di Giuseppe Mazzotti, che si sono particolarmente distinti in studi, ricerche e iniziative varie a difesa dell’ambiente in ambito nazionale e internazionale”, si è conclusa con la sottoscrizione di un Manifesto a difesa dell’acqua.
Un documento redatto per affrontare al meglio alcuni temi connessi alla transizione ecologica, puntualizzandone alcune possibili implicazioni, perché non divenga una semplice operazione di greenwashing e “di facciata”. Un manifesto che si riallaccia idealmente alla dichiarazione sulla tutela dell’acqua del Consiglio d’Europa del 1966 e alle attività pioneristiche del Gruppo 183, in Italia, per alimentare una riflessione più lungimirante sul governo delle acque. L’evento, coordinato da Salvatore Giannella, giornalista e direttore dello storico mensile “Airone”, ha visto gli interventi ricercatori, docenti universitari e autorevoli firme del giornalismo. Tra loro Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano promotore della Rete Lilliput, il professore Pier Francesco Ghetti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, i giornalisti e ambientalisti Alex Bellini e Marco Merola, e il giornalista della redazione di Report Giuliano Marrucci.
Fra i relatori della mattinata sono intervenuti anche i tre vincitori del Premio “Lampadiere dell’ambiente” 2021: Eriberto Eulisse, direttore esecutivo della Rete Mondiale Unesco dei Musei dell’Acqua; Claudia Laricchia, Climate Leader del “Climate Reality Project” dell’ex vicepresidente statunitense Al Gore e Head of Institutional Relations del Future Food Institute e Edoardo Borgomeo, Honorary Research Associate all’Università di Oxford. Al centro del dibattito sono emersi la necessità di una gestione più sostenibile dell’acqua, gli effetti del cambiamento climatico, il tema ineludibile di una corretta educazione all’acqua in contesti sempre più emergenziali, l’accesso democratico a questo bene e la visione di un “diritto umano all’acqua potabile” che ancor oggi, nei paesi più poveri, genera l’80 per cento delle problematiche sanitarie. Tematiche attualissime e che sono anche di carattere economico per i consumatori: in Italia l’acqua costa un euro a metro cubo, in Germania sei euro, considerando tutti i costi legati all’adduzione e alla depurazione. Ma ciò di cui più si necessita a livello globale è investire sull’ammodernamento delle infrastrutture idriche nell’ottica di una “transizione idrica” realmente “sostenibile”, tale da comprendere cioè non solo la realizzazione di megaprogetti con strutture energivore e impattanti, ma anche l’uso delle cosiddette Nbs - Nature Based Solutions, al centro di uno degli ultimi rapporti del World Water Assessment Programme dell’Unesco.
Eriberto Eulisse, direttore del Global Network of Water Museums, che opera presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia ha relazionato su questi temi e sulla necessità di investire maggiormente su iniziative di “educazione all’acqua” e sulla tutela dei patrimoni acquatici, sia naturali che culturali, come sottolineato dalla Risoluzione n.5-XXIII (2018) dell’Unesco-Ihp (programma idrologico Intergovernativo dell’Unesco). “Si devono rafforzare le azioni educative anche coinvolgendo maggiormente i musei che si occupano di acqua e costruire nuovi riferimenti etici e culturali per un governo più lungimirante dei patrimoni liquidi ereditati”, ha ribadito Eulisse. Durante i lavori è stata ricordata la figura di Renzo Franzin, fondatore del Centro Internazionale per la Civiltà dell’Acqua, per le sue ricerche pioneristiche sulla storia e sull’antropologia dei mondi acquatici, ovvero sulla necessità di costruire una nuova “cultura dell’acqua” a partire dal rapporto che ogni individuo deve costruire con essa: una relazione senza la quale nessuna tecnologia, anche la più sofisticata, può garantire un reale progresso umano.
L’idea del Centro Civiltà dell’Acqua, ripresa anche dal Global Network of Water Museums (“iniziativa faro” di Unesco-Ihp) è quella di promuovere un approccio olistico e transdisciplinare nell’affrontare i diversi problemi connessi all’acqua, per rimediare a quella “banalizzazione” cui spesso sono stati ridotti molti patrimoni liquidi a fronte di un presunto “progresso tecnologico” che a volte, paradossalmente, ha accentuato non pochi problemi (quali ad esempio l’uso delle plastiche o l’inquinamento e il depauperamento di fiumi e acquiferi). Proprio per questo è necessario aprire i nostri orizzonti, ha ricordato Eulisse, e considerare “come abbiamo gestito in passato i patrimoni acquatici, con tecniche semplici ma ingegnose, e tali da plasmare i paesaggi dell’acqua ancor oggi ammirati per il loro fascino e valore, nonché di favorire la creazione di una maggiore biodiversità”. Oggi, queste buone pratiche possono essere di grande aiuto e d’ispirazione per affrontare numerose criticità dell’attuale crisi globale dell’acqua.
Ovunque nel mondo possiamo rinvenire testimonianze paradigmatiche a questo proposito. In Veneto, un esempio poco noto ma importante è quello delle vie navigabili interne della Serenissima Repubblica di Venezia, realizzate sin dal Medio Evo, in tutto l’entroterra, per sviluppare attività commerciali e controllare il territorio tramite fiumi e canali navigabili. Si trattava di un sistema di “strade liquide” pienamente multifunzionale, in grado cioè di rispondere a diverse bisogni allo stesso tempo (navigazione, drenaggio, bonifica di nuovi terreni per l’agricoltura, etc.), un sistema oggi decaduto e non recuperabile ma che si presta, grazie ai pregevoli esempi di patrimoni architettonici e monumentali costruiti lungo questo network, allo sviluppo di un eco-turismo sostenibile improntato alla mobilità “lenta” e alla rinascita delle microeconomie rurali.
Nessuna vera transizione ecologica può prescindere dai patrimoni dell’acqua e dal loro corretto utilizzo in agricoltura e in ambito alimentare. Una visione sottolineata da Claudia Laricchia del Future Food Institute che, proprio a partire dagli aspetti educativi, ha ricordato il progetto avviato a Pollica, volto a salvaguardare i patrimoni acquatici e che insiste sull’ecosistema mediterraneo attraverso l’impegno di una comunità dinamica di giovani impegnati nello sviluppo dell’innovazione in campo agroalimentare. Il luogo scelto per il progetto è il Comune di Pollica, piccola comunità del Cilento, in provincia di Salerno, dove ha sede, grazie anche all’energia dell’attuale amministrazione comunale guidata da Stefano Pisani, il Centro studi sulla Dieta Mediterranea.
Successivamente ai lavori convegnistici, protagoniste dell’appuntamento sono state le aziende che hanno intrapreso e avviato attività esemplari legate all’innovazione e alla transizione ecologica, riuscendo a distinguersi nel panorama italiano per lo sviluppo di progetti di riutilizzo e uso virtuoso dell’acqua, con case history di livello nazionale e internazionale: dal vertical farming alla fitodepurazione, dalla coltivazione idroponica ai sistemi di dissalazione ad energia solare, per arrivare al riutilizzo delle acque reflue della filiera lattiero casearia per la produzione e l’utilizzo di bioplastiche.
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